Arte e astrologia

La prima opera d'arte della cultura occidentale che rappresenti un cielo e le sue costellazioni si trova in Omero, precisamente si tratta dello scudo d'Achille costruito da Efesto, come racconta l'Iliade nella bella traduzione di V. Monti :

Ivi ei fece la terra, il mare, il cielo
e il Sole infaticabile, e la tonda
Luna, e gli astri diversi onde sfavilla
incoronata la celeste volta,
e le Pleiadi, e l'Iadi, e la stella
d'Orïon tempestosa, e la grand'Orsa
che pur Plaustro si noma. Intorno al polo
ella si gira ed Orïon riguarda,
dai lavacri del mar sola divisa.

Notiamo, fra parentesi, che alcuni degli elementi presenti nello scudo dell'eroe greco si ritrovano anche nel cielo della nostra cappella. Cominciamo comunque col chiederci se si tratti di una singolarità o se immagini tratte dall'astronomia siano presenti anche altrove e quindi si tratti di un'iconografia attestata. La risposta è ovviamente sì: gli astri e le figure che li rappresentano hanno sempre stimolato la fantasia degli artisti e soprattutto dei loro committenti; gli studiosi distinguono anzi tre tipologie di raffigurazioni astrali :

  1. Quella a "Calendario": i segni zodiacali sono associati ai mesi dell'anno, a ricordare che il Cristo è signore del tempo. Queste immagini sono tra le più antiche e compaiono sia nelle pitture, sia nelle sculture, soprattutto di epoca romanica.

  2. Quella che raffigura gli influssi dei pianeti e dei segni zodiacali sulle attività dell'uomo. Un esempio insigne erano (e in parte sono) i dipinti del Palazzo della Ragione di Padova, distrutti da un incendio nel 1420 di soggetto astrologico, che riproponevano il tema degli inflssi, positivi o negativi, dei pianeti sugli uomini. Anche l'abside della Chiesa degli Eremitani riportava immagini astrologiche, presenti pure a Venezia, in Palazzo Ducale.

  3. Una terza categoria è rappresentata da quelle immagini che raffigurano la corrispondenza della situazione del cielo con eventi importanti, sul piano politico o religioso, ovvero le costellazioni (ovviamente favorevoli, ci mancherebbe altro!) che brillavano in cielo al momento della nascita di una vittoria, di un avvenimento rilevante nella vita del committente. Erano volute soprattutto dai potenti, desiderosi di affermare l'inevitabilità, sancita dagli astri, della loro gloria, e quindi presenti in palazzi signorili o in cappelle private. A Firenze troviamo il primo oroscopo vero e proprio, sopra l'altare della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, attribuito a Giuliano d'Arrigo detto Pestello, forse assistito dal grande geografo Paolo Dal Pozzo Toscanelli.

    Altri esempi sono l'affresco voluto da Cosimo il Vecchio per la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, e soprattutto quello di Agostino Chigi che ebbe il proprio oroscopo alla Farnesina, ma non dimentichiamo la Sala delle Sibille dipinta da Pinturicchio nell'appartamento Borgia, 1492 - 94. Giulio II ebbe dipinto da Raffaello nel 1508 il momento esatto dell'ascesa al soglio, il 31 ottobre 1503 tre ore dopo il tramonto. Vicino a Montagnana troviamo, più o meno contemporanei o non di molto posteriori, esempi a Ferrara, Mantova, Padova, Venezia, Vicenza.


Il ricordo di un evento

Data la struttura della composizione pittorica, è comprensibile che una delle ipotesi più convincenti, elaborata e verificata, anche con i dati astronomici ricostruiti al computer, è quella del Prof. Parolo, secondo il quale l'affresco rappresenta una scena celeste che descrive quasi scientificamente un evento astronomico, presentando la volta celeste come appare alla nostra latitudine nella stagione in cui il Sole si trova nel segno del Leone. Non solo, ma la Luna che si sovrappone al sole farebbe pensare ad una eclissi.

Quando avvennero, dunque, nel XV secolo, eclissi in queste condizioni di cielo? Le due date possibili sono l'8 agosto 1431 e il 29 luglio 1478. Anni, questi, in cui di cose ne stavano capitando parecchie, anche nel grande mondo della politica e dei conflitti religiosi, ed in effetti nel suo studio Parolo ne fornisce un lungo elenco. Le influenze squarcionesche e mantegnesche orienterebbero verso la seconda parte del secolo, e così pure la pensava il Princivalle, sempre basandosi su elementi di tipo stilistico, fermo restando che non sappiamo la portata degli interventi cinquecenteschi di Armano degli Armani (1582).

A questo proposito, viene citato un testo di un antico poeta padovano, che sembra descrivere proprio questo affresco. Tifi Odasio "Padre della poesia maccheronica" fu certamente legato a Montagnana, se non addirittura montagnanese egli stesso, e visse nel tempo in cui si decorava questa cappella. Resta da vedere se ne fu l'ispiratore o se invece fu lui a ricavare il brano da ciò che vedeva.

" L'axe del cielo cum mezo il serpente,
che fra l'una e l'altra orsa sta desteso,
e i dui fratei che l'un l'altro tien preso,
dove del suo salir Apol si pente,

El megio el ciel diviso in due equalmente
col gran dolor die un picol fior compreso
ancor si lege quando d'ira aceso
sì forte Aíace fu, che usci di mente.

In fra due corne dela freda luna
col sol a megio il ciel quando più latra
Sirio o per sete o per caldo o per ira,

I riscontri, in effetti sono numerosi:

  1. il serpente disteso tra le due orse, maggiore e minore;
  2. dove del suo salir Apol si pente, potrebbe alludere al fatto che con il segno del Leone il sole inizia effettivamente ad "abbassare" il suo corso;
  3. i dui fratei, sono Apollo (il sole) e Diana (la luna), l'uno sovrapposto all'altro; Apollo, qualche volta, è significato anche dal leone che sale all'empireo;
  4. il cielo diviso in due dai tre raggi;
  5. il picol fior è il giacinto germogliato dal sangue di Aiace, il guerriero che uscì di mente a seguito dell'ingiustizia patita dall'Itaco Ulisse (Ovidio, Metam., XIII, 394), con addosso la pelle del leone nemeo, in cui Ercole lo aveva avvolto bambino per renderlo (quasi) invulnerabile (Iliade, XXIII, 821);
  6. la fredda luna, che oscura il sole, raggiante nel cielo di luglio sotto il segno del cane maggiore;
  7. Sirio (quando più latra /Sirio o per sete o per caldo o per ira);

Come si vede le coincidenze sono troppe per essere casuali, anche se l'identificazione del guerriero barbuto con Aiace suscita qualche perplessità, in quanto salterebbe la corrispondenza con le costellazioni, che sembrava uno dei pochi dati acquisiti.


Galeotto Marzio

A questo punto, è indispensabile introdurre la figura di Galeotto Marzio, umanista, filosofo, medico, astrologo, dilettante di magia, nativo di Narni ma vissuto per buona parte della sua vita nella Montagnana del XV secolo. Corpulento e gagliardo, bizzarro e geniale, colto e iconoclasta, eretico della filosofia e della religione, Marzio polemizzò con autorevoli scrittori contemporanei, facendosi una caterva di nemici, il che spiega anche la denuncia all'Inquisizione che gli costò il carcere e un'umiliante ritrattazione, ma che dimostrò altresì la potente influenza di amici altolocati, dal Papa a Lorenzo de' Medici, al re d'Ungheria Mattia Corvino, di cui fu intimo, che lo tirarono fuori dai guai.

E' difficile pensare che, qualsiasi cosa abbia voluto dire l'enigmatico affresco, non ci sia di mezzo lui, senza dubbio uno dei maggiori intellettuali presenti allora nel Veneto, e sicuramente il maggiore della città di Montagnana, dove, tra l'altro, aveva svolto le mansioni di pubblico insegnante per conto del Comune. Anche il Princivalle fece ricerche su Galeotto, ma senza trovare riferimenti significativi. Possiamo per il momento ricordare, a titolo di curiosità, che fu lui a predire, nel 1462, un'eclissi a Padova, dove era rinomato insegnante, ma anche di questo torneremo a parlare.


Il problema di Ercole

Ercole

Anche Zoltan Nagy, dell'Università di Budapest, riprendendo una ipotesi già formulata in ambito montagnanese, collegava il ciclo di affreschi a Galeotto Marzio. Il Prof. Nagy, già direttore emerito dei musei di Strigonia - Esztergom, corroborava la sua affermazione riferendo che, in uno dei suoi soggiorni in Ungheria, il Marzio ebbe sicuramente modo di conoscere l'Astronomicon di Marco Manilio, il cui codice fu da lui emendato.

Il ciclo parietale di Palazzo Schifanoia a Ferrara, realizzato fra 1467 e 1470, dall'Officina Ferrarese (Cosmé Tura, Ercole de' Roberti, Francesco Cossa) presenta una sequenza di dei protettori dei vari segni tratta dal medesimo volume di Manilio, riscoperto nel 1417. Secondo il Nagy, il riferimento a Ercole, ritratto con la clava e la pelle del Leone Nemeo, è un richiamo esplicito al Marzio stesso, orgoglioso, a quanto risulta dai suoi biografi, della sua forza fisica.

Marzio sottolinea spesso la sua erculea energia, ad esempio nel famoso incontro di lotta libera sostenuto con il campione ungherese, ma vale altresì la pena di citare il passo in cui Marzio afferma che chi è forte viene detto bello, e cita proprio l'espressione Hercule Pulchro (Eneide, VII, 656), poiché, a suo dire, bellezza e forza procedono dalla medesima causa, vale a dire la simmetria delle membra. Lo studio continua poi con altre osservazioni, più o meno persuasive, ma io vorrei soffermarmi proprio su questo punto, vale a dire la figura di Ercole.

L'accoppiata clava-pelle sembrerebbe rinviarci proprio all'eroe Eracle - Ercole. Supponendo dunque che di Ercole, e non di Orione, si tratti, non so se qualcuno abbia mai osservato una strana coincidenza: l'altare dirimpetto presenta un motivo analogo, vale a dire la figura del mitico, forzuto eroe. Parlo dell'altare di S. Caterina d'Alessandria: negli specchi dei plinti delle colonne e delle lesene appaiono, assieme a simboli di trionfo (le spoglie di armature) e di martirio (gli oggetti della Passione di Cristo) due celebri "fatiche" di Ercole: l'uccisione del Leone Nemeo e dell'Idra di Lerna.

A quanto ne sappiamo, l'altare è degli inizi del '500, quindi non di molto posteriore al soggiorno montagnanese del Marzio. Collegabili, in qualche modo, al martirio e quindi alla vittoria della Santa Fede possono essere gli oggetti sopra descritti, ma le due fatiche di Ercole, che c'entrano? Talvolta la figura di Ercole veniva avvicinata al Cristo, soprattutto per le famose "fatiche" che richiamavano il sacrificio del Redentore. Ma Ercole è anche un simbolo solare, tanto che le fatiche spesso vengono identificate, con un po' di fantasia, con le costellazioni dello Zodiaco, attraversate durante l'anno dal Sole; in particolare, l'Idra di Lerna richiama lo Scorpione e il Leone Nemeo, ovviamente, il Leone.

L'Idra, poi, nei bestiari medioevali, rappresentava i vizi, continuamente rinascenti come le teste del mostro, e spesso era confusa con la Bestia dell'Apocalisse. Il leone, da parte sua, è figura talmente ricca di significati, positivi e negativi, da rendere difficile ogni tentativo di interpretazione in maniera univoca. E' interessante notare, però, che anche nel famoso ciclo astrologico della cappella del Rosario compare il Leone. Ma per ora basti così.


Un'Apocalisse?

Tornando alle interpretazioni tradizionali, si è pensato sin dall'inizio anche all' Apocalisse, libro carico di terribili misteri e di simboli, ma gli unici spunti potrebbero provenire dal cavallo bianco, dal dragone, dalla vergine, che indicherebbero la vittoria contro la Bestia, con cui spesso il Drago è confuso . Tuttavia, come afferma giustamente il Princivalle, " non si vede in tanta profusione di simboli il famoso passo del capitolo XII dell'Apocalisse, che allude alla Regina del Cielo: "Mulier amicta sole et luna sub pedibus eius, et in capite eius corona stetlarum duodecim".


L'Incarnazione

"Io avanzerei modestamente una proposta: per me quel cielo zodiacale indicherebbe un momento particolare degli astri nel loro corso, un momento in cui il sole verrebbe a trovarsi in congiunzione con la luna e ciò potrebbe significare l'unione intima che si opera nel mistero dell'Incarnazione tra Cristo " Sol iustitiae " e Maria " pulchra ut luna ", e la vittoria sul male, significato dal serpente, che consegue tale mistero." Così si esprimeva il Princivalle, ed è a mio avviso un buon punto di partenza, che ha il pregio di non escludere necessariamente altre interpretazioni e di offrire una spiegazione coerente con la dedicazione della cappella che - l'abbiamo detto - è intitolata all'Annunziata.
Proviamo adesso a riprendere in considerazione i simboli, per comprendere in che misura essi possano giustificare l'ipotesi.


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